Cari genitori,
voglio raccontare la mia esperienza con il minirugby, in quanto ritengo il rugby lo sport per eccellenza. Si parla tanto di valori morali, di etica, di educazione. In questi tempi si leggono e si ascoltano notizie di ogni genere legate al mondo scolastico e dell'educazione.
Io ho superato da tempo gli anta, ma da ragazzino, se non ricordo male a partire dall'età di sette-otto anni, per caso mi trovavo a seguire le partite dell'allora torneo delle 5 Nazioni, trasmesso da RAI3 il sabato pomeriggio. TV in bianco e nero, altri tempi. Ma da subito mi sono appassionato alle mischie, ai placcaggi, alle fughe di 30-40 metri. Allora il rugby era giocato con gli uomini di mischia grandi e grossi e i 3/4 piccoli e scattanti. I mediani di mischia erano piccolini ma tanto. Quando era il momento di andare a giocare e a divertirsi, i classici quattro calci al pallone, come tutti.
Ma sempre di più mi appassionavo al rugby, tanto che ogni anno, anche se non veniva promosso da alcun giornale o media, mi trovavo da solo a trepidare in attesa della primavera, quando sarebbe iniziato il 5 nazioni!
Ricordo una partita, che venne trasmessa la sera, tra Nuova Zelanda e Sud Africa. Fu la prima volta che da bambino sentii parlare dell'apartheid. Infatti era la prima partita che il Sud Africa poteva giocare dopo l'embargo. Per protesta, durante l'incontro, sopra il campo di gioco volava un aereo che lanciava sacchetti di sabbia sul campo. Ogni tanto ne vedevi uno che piombava a terra spargendo sabbia tutt'intorno. Uno colpì un giocatore in testa. Questo scrollò il capo per togliersi la sabbia e continuò a correre come nulla fosse. Fu la prima volta che vidi la Haka degli All Blacks. Durante la telecronaca, il commentatore raccontava le storie dei vari giocatori; chi aveva una fattoria in Sud Africa e si diceva avesse ucciso un leone a mani nude! Altri racconti erano più o meno leggendari come questo, ma tutti avevano una nota in comune: parlavano di persone che nella vita privata appartenevano a classi sociali elevate e praticavano il rugby per passione, puri dilettanti. Lo stesso per i giocatori delle squadre anglosassoni del torneo delle 5 Nazioni. C'era un pilota della RAF, un poliziotto di Londra, un avvocato, un architetto, ognuno insomma con la sua professione, generalmente con una posizione di rilievo nella società, e che praticava il rugby solo per passione!
Io intanto crescevo, e, sempre durante le partitelle di calcio tra amici, rimanevo alquanto disgustato dalla differenza di valori che esistevano tra il rugby che seguivo per televisione e il calcio giocato tra "amici"; litigi per un fallo, discussioni per una giocata fatta male, urla per un passaggio sbagliato. Mentre in TV ammiravo il comportamento che andava oltre il fair play da parte dei rugbisti, nonostante ci fossero scontri ben più duri che nel calcio. Ammiravo anche il comportamento del pubblico agli stadi: applausi a scena aperta da parte dei tifosi di entrambe le compagini in campo per giocate spettacolari, tifo acceso, ma nessuna barriera tra il pubblico e i tifosi, tanto che quando si segnava una meta potevano entrare in campo a dare pacche sulle spalle dei giocatori, che, con mio stupore, non esultavano mai dopo aver segnato!
Ben altro spettacolo mi offriva il calcio in TV, anche a quei tempi.
Crescendo ho cercato di praticare svariati sport, in base alle disponibilità che esistevano nella cittadina di provincia dove abitavo. Ho cercato di fare nuoto, ma per diventare competitivo si parlava di allenamenti lunghi e frequenti, esisteva solo una piscina scoperta disponibile solo nei mesi estivi. Ho provato con l'atletica leggera durante i Giochi della Gioventù, ma, per poter dare un seguito alle garette scolastiche bisognava ottenere risultati da campioni. Ho frequentato una palestra di judo, ma dopo un anno o due, conseguendo il risultato di cintura marrone dopo aver superato degli esami, o praticavo a livello agonistico, sempre con risultati da campione, oppure nulla.
Il rugby rimaneva per me una chimera da seguire in TV; tra l'altro con il passare del tempo anche la visibilità data dai media al rugby diminuiva, e le partite del 5 Nazioni venivano trasmesse solo come "sintesi", non più intere partite.
Per frequentare le scuole superiori ho dovuto fare il pendolare, sobbarcandomi un viaggio di un'ora all'andata e un'ora al ritorno con l'autobus.
Ma ho scoperto che esisteva una squadra di rugby locale!
E io che pensavo di dover andare fino a Milano o Roma!
Mi ci sono subito tuffato a capofitto, e con grande sorpresa degli allenatori, che credevano di dovermi insegnare tutto l'ABC, conoscevo regole, trucchetti e sfaccettature. Grazie agli sport praticati avevo un'eccelente forma atletica, grazie al judo sapevo placcare e cadere, grazie al nuoto avevo fiato da vendere, grazie all'atletica avevo uno scatto invidiabile. Finii quasi subito in prima squadra. In realtà esisteva solo la prima squadra. Ma divenni subito titolare. In realtà non eravamo più di 15, quindi non avevamo neppure le riserve.
Era una squadra che era iscritta al campionato di C2. Poi scoprii che in Italia esistevano solo la serie A, la serie B, e la serie C1 e C2, poi più niente.
Ero l'ultimo arrivato, nell'ultima squadra dell'utlima ruota del carro. Ma che gioia!
Subito mi trovai in un gruppo di amici, ma amici veri. Si condivideva tutto, ci si autofinanziava, 10.000 lire al mese! Servivano per le trasferte.
Ogni domenica portavo a mia mamma una borsa piena di indumenti e di fango, più fango che indumenti. Ma mia mamma mi vedeva contento e le bastava. Mi sobbarcavo due allenamenti la settimana, di sera, facendo il viaggio di ritorno a casa di un'ora, rientrando quindi dopo le 11:00, per poi ripartire alle 7 del mattino e fare un'altra ora per andare a scuola. I miei compagni parlavano ancora di calcio, c'era chi, tra i più abili, giocava in squadre di semiprofessionisti, con tanto di sponsor e "massaggiatore". Noi facevamo a turno a chi preparava un grosso thermos di the caldo per la partita della domenica.
La cosa che più mi piaceva, però, era vedere che tra di noi non c'era un fuoriclasse, non esisteva chi fosse molto bravo, anzi, eravamo tutti "scarti" del calcio e nessuno era mai riuscito ad eccellere in alcuna disciplina sportiva. Avevamo solo passione. Chi, tra i miei compagni era bravo a "dribblare" aveva fatto un po' di strada in qualche squadra, tutti gli altri si limitavano a guardare il calcio in TV e a giocarlo nei soliti campetti di periferia.
Ma il più felice di tutti, il lunedì, ero io. Perché avevo messo in campo tutta la mia passione, tutto il mio orgoglio, tutta la mia forza, insieme ad altri 14 ragazzi che facevano lo stesso.
Chi aveva giocato a calcio in un campionato,invece, raccontava di come aveva simulato bene e procurato un rigore, chi era stato escluso dalla formazione per un diverbio con l'allenatore, chi ascoltava e basta perché non aveva giocato. Io giocavo sempre, non mi sono mai fatto male, e a fine partita era una gioia, dopo aver perso "tanti a zero", vedere due file di avversari che ti applaudivano per uscire dal campo, perché riconoscevano che avevi dato il massimo, che li avevi sfiancati, ed erano felici anche loro, non tanto per la vittoria, ma perché si erano divertiti, e facevano i complimenti per il placcaggio che avevi fatto, ti incoraggiavano a crescere e ti consigliavano per il prossimo incontro, il tutto mentre si mangiava un panino e si beveva assieme una birra.
Ora, come ho detto, ho superato gli anta, ma ho sempre il rugby nel cuore, e ricordo come un dei più bei momenti, quella meta fatta dopo aver corso per 40 metri evitando tre o quattro placcaggi e.... mi scende quasi una lacrima, perché in quel momento ho corso con gli altri 14 compagni che mi sospingevano verso il cielo, accomunati da una gioia di poter raggiungere una meta!
Questo insegna il rugby, e nessuna scuola di vita, nessuno sport, può eguagliare questi insegnamenti.
Cari genitori, portate i vostri figli a giocare a rugby.
Unico requisito: una lavatrice capiente.
Aldo L. (ex-rugbista)
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